Efficienza energetica: quale il contributo all’adempimento dell’Accordo di Parigi?

Nell’Accordo non c’è alcun riferimento riguardo alle azioni di efficienza energetica. A colmare questo vuoto ci ha pensato la IEA.
Articolo di Veronica Caciagli
Nell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, approvato nella Conferenza delle Nazioni Unite del dicembre scorso, gli Stati si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra a un livello tale da mantenere l’incremento della temperatura media globale “ben sotto” i 2° gradi, con sforzi aggiuntivi per arrivare a 1,5° gradi centigradi. Non solo: le emissioni mondiali dovranno raggiungere il picco prima possibile, per poi decrescere velocemente, fino ad arrivare a emissioni nette zero entro la seconda metà di questo secolo. Sebbene siano fissati gli obiettivi, però, nell’Accordo non si parla di soluzioni, ovvero alle modalità per realizzare la decarbonizzazione dell’economia, che sono lasciate a discrezione delle singole politiche nazionali. In particolare, nell’Accordo non c’è alcun riferimento riguardo a una delle azioni chiave per centrare i target: l’efficienza energetica.
A colmare questo vuoto ci ha pensato la IEA, l’International Energy Agency, che, proprio per l’appuntamento parigino, ha pubblicato un report speciale, “Energy and Climate Change”. “Stiamo affrontando un momento storico pieno di opportunità, ma anche di grandi rischi […]– affermato Maria van der Hoeven, Executive Director della IEA, nell’introduzione del report. – Come le nostre analisi hanno ripetutamente dimostrato, il costo e la difficoltà per la riduzione delle emissioni di gas serra diminuiscono ogni anno, per cui il tempismo è essenziale. Ed è chiaro che il settore energetico giochi un ruolo cruciale per il successo delle azioni”.
Nell’Accordo di Parigi è previsto che le Parti attuino una prima serie di impegni, presentati dagli Stati stessi, che, collettivamente, ci pongono verso uno scenario di aumento della temperatura media globale di +2,7° gradi centigradi: è sicuramente un altro mondo rispetto agli scenari ipotizzati negli anni precedenti e in assenza di misure correttive, quando l’ipotesi era di aumenti fino ad oltre +4° e quindi di scenari catastrofici. Ma non è ancora abbastanza per scongiurare conseguenze gravi per il sistema climatico e quindi per l’umanità: perciò gli Stati dovranno successivamente aumentare i propri impegni, ogni 5 anni, fino a portarli a raggiungere l’obiettivo.
Il rischio, però, è che non si faccia in tempo: viaggiamo già in ritardo, e se le misure di riduzione delle emissioni non saranno abbastanza veloci, rischiamo di perdere la possibilità di rimanere sotto i 2° gradi.
In realtà, recentemente si sono avuti diversi segnali positivi: l’uso di fonti energetiche pulite si sta espandendo, mentre ci sono segnali di un disaccoppiamento tra crescita dell’economia globale ed emissioni collegate all’energia. L’economia globale, infatti, è cresciuta del 3% nel 2014, mentre le emissioni di CO2 sono rimaste stabili, per la prima volta da 40 anni. Le energie rinnovabili hanno rappresentato circa la metà della potenza energetica installata nel 2014, mentre i costi di produzione continuano a scendere. Inoltre, l’intensità energetica è diminuita del 2,3% nel 2014, più del doppio del tasso medio del decennio precedente, grazie soprattutto all’efficienza energetica.
Anche se le emissioni stanno rallentando, però, nello scenario che include gli impegni attuali degli Stati (‘scenario INDC’) seppur il collegamento tra PIL e CO2 sia indebolito, non è ancora tagliato: perciò la previsione al 2030 è una crescita dell’economia dell’88% e delle emissioni dell’8%. Infatti, questo scenario prevede che le rinnovabili diventino la principale fonte energetica di elettricità, ma la lentezza nel dismettere le centrali a carbone porterebbe a inficiare il risultato finale.
Sarebbero quindi necessarie ulteriori azioni per riuscire a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2020: la IEA riassume le misure addizionali suggerite in un ‘bridging scenario’, uno scenario ponte che possa condurci a conservare buone probabilità di rimanere sotto i +2° gradi utilizzando tecnologie già esistenti. Si basa su cinque tipi di azioni:
– Aumento dell’efficienza energetica nell’industria, in edilizia e nei trasporti
– Chiusura progressiva delle centrali a carbone meno efficienti, e moratoria sulla costruzione di nuove centrali
– Aumento degli investimenti in energia rinnovabile dai 270 miliardi di dollari nel 2014 a 400 miliardi di dollari nel 2030
– Eliminazione dei sussidi alle fonti fossili entro il 2030
– Riduzione delle emissioni di metano nella produzione di petrolio e gas.
L’implementazione delle cinque azioni non garantirebbe, da sola, di raggiungere l’obiettivo di rimanere sotto i 2°, in quanto sarebbero comunque necessari gli aumenti degli impegni previsti nell’Accordo di Parigi; ma permetterebbero di raggiungere il picco delle emissioni velocemente, entro il 2020, semplificando e diminuendo il costo delle azioni future.
Non a caso la prima misura proposta dalla IEA riguarda l’efficienza energetica: la fetta più grande di riduzione delle emissioni di gas serra proviene proprio dall’efficienza energetica, con cui sarebbe possibile realizzare il 49% del taglio di emissioni auspicato per il 2030. Come realizzarlo? Con maggiori investimenti: se nello scenario INDC, ovvero con l’implementazione degli impegni previsti nell’Accordo di Parigi, nei prossimi 15 anni gli investimenti in efficienza energetica ammonteranno a circa 8 mila miliardi, di cui circa un terzo destinato al settore edilizia. Per collocarci verso il picco delle emissioni entro il 2020, sono necessari ulteriori 3 mila miliardi di investimenti in efficienza energetica.
Come avverte il report della IEA, “la sottomissione degli obiettivi nazionali alla COP21 non è la fine del processo, ma costituisce la base per creare un ‘circolo virtuoso’ di ambizioni crescenti”. Ambizioni che comprendono come elemento cruciale l’efficienza energetica.
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